Processo Luigi Ciaramella, il diciannovenne morto in un incidente stradale nel 2008, il papà Biagio: “Anche dinanzi ad elementi incontrovertibili, la colpa degli incidenti stradali ricade sempre sulle vittime”
COMUNICATO STAMPA DELL’ASSOCIAZIONE UNITARIA FAMILIARI E VITTIME DELLA STRADA ODV https://www.facebook.com/photo/?fbid=662435485929680&set=a.560817062758190
«Ancora una volta abbiamo dovuto assistere a un tentativo di addebitare la colpa dell’incidente nel quale ha perso la vita a nostro figlio». Così Biagio Ciaramella, vicepresidente dell’Associazione Unitaria Familiari e Vittime della Strada Odv e dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada Odv ed Elena Ronzullo, presidente dell’Associazione Mamme Coraggio e Vittime della Strada Odv. Entrambi sono genitori di Luigi, il diciannovenne morto in un incidente sulla Strada Provinciale 131 di Caserta il 31 luglio 2008. «Durante l’ennesima udienza svoltasi presso il palazzo di giustizia di Santa Maria di Capua Vetere, i periti del Tribunale hanno fatto ricadere la colpa su nostro figlio, incuranti delle evidenze emerse dalle perizie effettuate in questi anni».
Da quindici anni la famiglia Ciaramella lotta, insieme alle Associazioni delle Vittime della Strada, per far luce sulle modalità dell’incidente e sulle eventuali responsabilità degli Enti locali e di chi potrebbe avere assistito all’incidente, ma ha preferito non collaborare. «Molti i dubbi e le domande che ci siamo posti», dice Ciaramella, «perché non è stata mai presa in considerazione la perizia fatta nel 2003 dai tecnici del Tribunale? Perché non sono state esaminate e valutate le foto della polizia stradale presenti nel fascicolo? Noi abbiamo sempre sostenuto che qualcosa fosse caduta sull’auto di Luigi. Speravamo che ciò sarebbe emerso dalla perizia di due docenti universitari nominati dal giudice. Ma entrambi hanno detto di tutto per fare ricadere la colpa dell’incidente su Luigi. Forse dimenticano che dietro ai morti sulle strade ci sono famiglie condannate all’ergastolo del dolore. Con il nostro legale, Davide Tirozzi abbiamo evidenziato gli elementi che non hanno preso in considerazione». Ciaramella si riferisce anche al rapporto di prova – da lui richiesto – relativo al campionamento e alla ricerca di presenza di rame sulla superficie dell’auto di Luigi. L’esito dell’esame ha dimostrato “la presenza di un complesso colorato di composti solubili di rame”. Il che avvalora l’ipotesi della possibile presenza di verderame sulla carrozzeria del veicolo.
I genitori di Luigi Ciaramella, inoltre, si sono avvalsi, oltre che del legale Davide Tirozzi, anche del lavoro svolto dal perito Alessandro Lima e dall’architetto Giuseppe Di Giampietro. Durante l’udienza del 5 luglio scorso, Lima ha dichiarato che: «le risposte fornite dai due periti del Tribunale non hanno sciolto i dubbi sollevati dalla difesa. La perizia è viziata da errori di analisi degli elementi oggettivi a disposizione, per quanto concerne la dinamica del sinistro e in particolare l’evento che ha innescato il sinistro. Gli stessi periti non sono riusciti a fornire una dinamica che fosse compatibile con tutto quanto raccolto fino a ora nel corso del processo. Ancora non chiara del tutto la classificazione della strada e soprattutto la regolarità di posizionamento del palo ENEL e tantomeno se fosse stata necessaria una protezione dello stesso. Addirittura si è ascoltato che l’allargamento della sede stradale sarebbe opera di manutenzione ordinaria, e tantomeno sappiamo se sia mai stata realizzata, non essendo stato possibile reperire il progetto dell’opera che risalirebbe agli inizi degli anni 2000, circa 8 anni prima del tragico evento. La difesa ha formalmente chiesto alla Giudicante di avanzare richiesta di questo progetto agli organi preposti, tra i quali, su suggerimento della stessa difesa, l’ufficio del Provveditorato alle Opere Pubbliche, ove potrebbe essere presente una copia del progetto».
Sui periti nominati dal Tribunale, il papà di Luigi fa notare che «entrambi i docenti hanno avuto l’incarico di realizzare progetti sulla sicurezza stradale in varie scuole della regione. Non vogliamo pensare che la loro discutibile obiettività sia da attribuire proprio a ciò. Sulla sicurezza stradale, infatti, si fanno tante passerelle politiche, che purtroppo rimangono tali. La nostra impressione, in tanti anni di impegno accanto alle famiglie delle vittime della strada, è che non si voglia fare effettivamente luce sugli incidenti. Chiediamo al Governo di coinvolgere nei suddetti progetti anche le associazioni, considerato che vengono impiegati fondi pubblici». Non solo: «I due periti si sono permessi di recriminare anche ciò che la stradale di Caserta aveva scritto. Noi ci siamo sentiti offesi», continua il vicepresidente Ciaramella, «Anche un dipendente della provincia di Caserta aveva segnalato il palo della luce per farlo mettere in sicurezza. Perché le responsabilità vengono sempre fatte ricadere sulle vittime? Ribadiamo che non accetteremo un’archiviazione del caso, e nemmeno che il processo duri decenni, visto che nel nostro caso la verità è risaputa dal primo giorno. Tutti gli omicidi stradali non sono omicidi di serie B, chi ha sbagliato deve scontare la pena in carcere».
L’udienza del 5 luglio scorso è stata «molto impegnativa», ha affermato l’avvocato Davide Tirozzi, legale della famiglia Ciaramella. «Sono stati messi sotto pressione i tecnici e i periti del Tribunale per cercare di evidenziare i punti, le discrepanze che secondo noi devono essere rivisti. Per noi è stato un lavoro esaustivo e utile, ora ci prepareremo per le discussioni finali, al fine di giungere a un risultato soddisfacente».
Le numerose incongruenze sul caso Ciaramella sono state evidenziate anche nella relazione dell’architetto Giuseppe Di Giampietro, perito della famiglia Ciaramella, che ha bollato la Relazione definitiva dei due periti del Tribunale come superficiale. Il loro lavoro avrebbe dovuto far luce sulle cause e sulle responsabilità della morte di Luigi Ciaramella, invece si è rivelato «lacunoso, incoerente, superficiale e viziato dal pregiudizio di un teorema indimostrabile», scrive Di Giampietro. «A 15 anni di distanza da quel tragico incidente, dopo 7 perizie tecniche, la relazione dei due Consulenti tecnici d’ufficio, pareva esprimere un teorema, che era quasi una sentenza, che si riassumeva in questi termini: secondo i CTU, il ragazzo viaggiava ad una velocità di 90 kmh sulla strada SP131, su cui vigeva un limite di 50 kmh. Senza che nessun altro intervenisse, usciva di strada, e dopo aver percorso un tratto di 40 metri, inclinato a circa 45 gradi su un fosso laterale della strada, andava a schiantarsi contro un palo dell’Enel, dentro il fosso a poca distanza dalla carreggiata, rimanendone ucciso. Solo sua era la responsabilità della sua morte».
Le osservazioni e le contestazioni della controparte dei famigliari della vittima, si sono appuntate analiticamente su alcuni aspetti: a) le false certezze della ricostruzione e la compatibilità con una diversa dinamica; b) la velocità di marcia e il limite imposto sulla strada; c) la classificazione della strada e le diverse responsabilità che ne derivano per l’ente proprietario; d) gli obblighi di protezione con dispositivi di ritenuta dei punti e tratti pericolosi della strada. Elementi analizzati dall’arch. Di Giampietro: «I consulenti non hanno saputo spiegare le caratteristiche delle tracce di veicoli nel fosso; non avevano considerato l’esistenza di altre tracce più ravvicinate ed oblique al palo; non sapevano spiegare il perché dei tubi contro-palo in posizione frontale rispetto alla direzione dei 40 m non risultassero toccati dal violento impatto. Infine, essi avevano scartato, senza giustificazione, una diversa ricostruzione fatta da altri 6 periti, sul coinvolgimento nell’incidente di un altro veicolo, rimasto sconosciuto, forse uscito da un accesso poderale lungo la strada. Inoltre, la velocità di transito dello sfortunato giovane è stata calcolata dai consulenti, in maniera imprecisa, in 90 kmh. Essa è uno dei presupposti del teorema della responsabilità unicamente personale. È una velocità più alta di quella stimata da tutti gli altri consulenti, assoluta, non “in un range” tra 65 e 80 kmh come per gli altri periti, ma, in maniera perentoria, a 90 kmh, una velocità molto maggiore del limite imposto sulla strada di 50 kmh. Si scopre poi, dal dibattimento, che essa è stata stimata mettendo in conto la dissipazione di energia del tragitto di 40 m inclinato sul bordo del fosso, un tragitto inverosimile e poco certo, che vale per metà dell’energia cinetica totale dell’incidente e della velocità stimata di 90kmh. La velocità sarebbe minore se venisse meno l’ipotesi dei 40 m sul bordo del fosso, come nella ricostruzione degli altri periti. Di più, né questi consulenti e né altri si sono preoccupati di misurare la velocità effettiva della strada».
Nella ricostruzione del contesto stradale, è risultata critica per i potenziali effetti sulla sicurezza la presenza di una serie di accessi poderali non autorizzati aperti sulla SP131. Ma anche «la mancata manutenzione del verde, con siepi e alberi che limitavano la visibilità di accessi e aree laterali della strada; la presenza di un fosso di drenaggio laterale con pendenza delle scarpate superiore al 100%, non protetto da guard-rail; la presenza del palo Enel fatale, vicino alla carreggiata ma non protetto da dispositivi di ritenuta», continua la relazione dell’arch. Di Giampietro. «Tali mancanze caricano una responsabilità diretta sull’ente proprietario della strada, che dovrebbe garantire la sicurezza e la fluidità del traffico come primo compito (Art. 14 CdS, Compiti degli enti proprietari delle strade). Poiché tutti i consulenti tecnici precedenti avevano ritenuto compatibile con i fatti, l’uscita di un veicolo agricolo da un accesso poderale lungo la strada, come possibile causa dello sbandamento del veicolo in transito e successivo impatto contro il palo, era fondamentale far riferimento alla normativa sul controllo degli accessi e immissioni sulla strada provinciale».
Il Codice della Strada, all’art. 22, impone la richiesta di autorizzazione all’ente proprietario per aprire accessi sulla strada. Il DM 16-04-2006, Intersezioni, impone una distanza di almeno 300 m tra accessi e intersezioni sulle strade di tipo C (strade extraurbane secondarie). Proseguendo nella lettura della relazione, si appende che: «Oltre alle responsabilità dei proprietari che avevano aperto abusivamente tali accessi poderali sulla strada, si configurava una responsabilità diretta dell’ente proprietario, Provincia di Caserta, nel non aver controllato tali abusi, né garantito la manutenzione degli spazi laterali e la visibilità sulla strada. Una attenuazione della responsabilità dell’ente poteva derivare dalla classificazione della strada non come strada di tipo C, extraurbana secondaria, ma come strada di tipo F (locale extraurbana), che consente accessi a distanza più ravvicinata, di 30 m invece che 300 m (ma pur sempre da autorizzare, requisito sempre mancante). Dunque, sulla classificazione della strada, se C oppure F, si accendeva il confronto, tra i professori CTU (che proponevano la classifica di strada locale F per la SP131) e l’avvocato e i tecnici dei famigliari della vittima, che rivendicavano la classifica di strada di rango superiore, di tipo C, extraurbana secondaria, per la SP131».
L’ultima parte del dibattimento è stata centrata sulla contestazione ai CTU dell’affermazione della mancanza di obbligo di intervento della Provincia nel dotare la strada di dispositivi di ritenuta a protezione dei fossi laterali, e del palo Enel, troppo vicino alla carreggiata.
«L’obbligo di spostamento del palo Enel esisteva dal 1992», ribadisce Di Giampietro. «Ancor meno spiegabile è il fatto che a tutt’oggi, 15 anni dopo la morte di Luigi e 31 anni dopo la pubblicazione dei Decreti del 1992, i pericolosi fossi laterali e il palo che ha ucciso, sono ancora là, sulla SP131, in attesa di messa in sicurezza. L’obbligo di garantire sicurezza e fluidità sulle proprie strade, non è ancora arrivato in provincia di Caserta. Forse anche Cristo si è fermato proprio ad Eboli?».
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